Il Monte dei Cocci a Testaccio. Visita guidata

Sul monte più singolare di Roma, con Penelope. Apertura straordinaria con permesso di Zetema.
E’ singolare, ma il colle più notevole di Roma è del tutto artificiale: alto 36 metri e con la circonferenza di un solo chilometro è uno dei luoghi cui i romani di ogni tempo sono più affezionati.
Il suo nome scientifico sarebbe Monte Testaccio, dal nome latino testae (letteralmente cocci) vale a dire mons testaceus per via dei frammenti di anfore usate per il trasporto delle merci qui sistematicamente scaricate e accumulate, con ogni probabilità tra il periodo augusteo e la metà del III sec. d.C.
Ma proprio per la sua natura sono ormai secoli che i romani lo chiamano Monte dei Cocci: fino a non troppi anni fa era un parco a libero accesso, ma per preservarlo dai continui saccheggi si è reso necessario recintarlo.
Nel medioevo vi si svolgevano documentate feste carnevalesche, compresa la cruenta ruzzica de li porci, una sorta di corrida che vedeva come vittime i poveri animali lanciati per la discesa. Intorno alla metà del Quattrocento non solo il papa vietò questo gioco, ma spostò il carnevale sulla via Lata (via del Corso) e fece portare qui una croce meta della via Crucis quaresimale: quasi un contrappasso per i cittadini e per il colle, che divenne così un vero monte Calvario. Ancora oggi è dominato da una croce, molto più recente in realtà.
I romani non si persero d’animo: stanti le numerose osterie che si erano piazzate nella pancia del monte, scavandone le viscere di coccio, divenne una delle mete preferite delle ottobrate romane. D’altra parte lassù l’aria è buona, anche d’estate tira il vento per via del fiume subito a valle, e il paesaggio si apre a perdita d’occhio su tutta la città.
E’ una postazione talmente strategica che da qui i volontari della Repubblica Romana cannoneggiarono i francesi accampati a San Paolo fuori le mura nel 1849 – tanto che questi riuscirono a entrare solo dal lato di Villa Pamphilj – e di nuovo vi fu posta una batteria antiaerea durante la seconda guerra mondiale: i resti di cemento della struttura sono ancora visibili in cima al colle.
‘Su Testaccio si vedrà sempre un cielo caliginoso e allucinato. Tepore primaverile ancora gelido; vernice verde degli alberi macchiati dal viola o dall’indaco di alberelli da frutta, con grazia da paesaggio giapponese. Panoramica iniziale – dall’alto, come in qualche classico del cinema francese […] Porta Portese, Riformatorio dei minorenni di uno stinto, solido barocco romano – lungoteveri alti, deserti. Ma questo di scorcio: l’obbiettivo si fermerà subito contro la riva di Testaccio. Ponte Testaccio. Argine verde spelacchiato, velenoso, sul l’acqua del Tevere ancora tumido per la piena invernale. Lungo blocco giallastro di case a cinque, sei piani del primo novecento, balneari, nordiche. Asfalto delle strade intorno al fiume. Veduta lontana e nebbiosa della zona portuense, del gasometro. […] Lotto; strada, muretto, scarpata, fiume. Cinquanta metri a destra, il ponte. Vengono spesso dei pescatori con l’amo, e anche con una piccola rete appesa ad una stanga, come in un posto abbandonato, mentre sul ponte passa con fragore afono la circolare. […].‘ Pier Paolo Pasolini, Testaccio, in Alì dagli occhi azzurri. Racconti dal 1950 al 1965
Oggi il Monte dei Cocci è principalmente un luogo importantissimo per raccontare la storia minuta del commercio a Roma: quei cocci erano tutto meno che abbandonati e disposti secondo un criterio statico che ne permette una esatta stratigrafia. Destinati al recupero come materiale da costruzione sono principalmente pezzi di anfore olearie della Betica (odierna Andalusia) e della Bizacena (Africa). Un accumulo di tale entità ed altezza fu reso possibile dalla presenza di una rampa e di due stradine percorse dai carri carichi di anfore frammentarie, molte delle quali conservano il marchio di fabbrica impresso su una delle anse, mentre altre presentano i tituli picti, le note scritte a pennello o a calamo con il nome dell’esportatore, indicazioni sul contenuto, i controlli eseguiti durante il viaggio, la data consolare.
Studiandoli – e ce n’è da fare – si scoprono infiniti dettagli, come ad esempio quale strada facevano le merci via mare e via terra prima di arrivare al Porto Fluviale di Ripa Grande, essere riposte nei magazzini, poi svuotate e infine accumulate. Si scoprono i diversi tipi di merce, i nomi di quegli antichi imprenditori e tanto altro ancora.
Insomma, un vero viaggio nel tempo in un chilometro per pochi metri d’altezza, dai commerci di Roma al XX secolo.
INFO PRATICHE
Appuntamento alle 10.40 su piazza Santa Maria Liberatrice.
Scarpe comode e un cappello, ingresso 4 euro a persona. Gratuito per i possessori di MIC CARD ATTIVA
MODALITA’ DI PRENOTAZIONE, QUOTA DI PARTECIPAZIONE
Prenotazione scrivendo ad artsharing.roma@gmail.com oppure WhatsApp 338-9409180: quota di partecipazione euro 10 per i soci incluso noleggio radioguide (12 euro per gli ospiti occasionali dei nostri soci).
Ulteriori info per partecipare alle nostre attività si trovano QUI
N.B. Le nostre attività si svolgono in osservanza delle norme sanitarie in vigore al momento dell’iniziativa